Il dodicesimo volume de "Le grandi storie della fantascienza" è semplicemente spettacolare. Asimov può attingere, per l'anno 1950, a una messe di racconti indimenticabili. E il caso di "Servire l'uomo" di Damon Knight, un autentico classico; o di "Nato di uomo e di donna", di Richard Matheson, brillante riscrittura di un racconto di H.P. Lovecraft, "L'estraneo". Proprio Matheson inaugura un filone della sciente fiction molto diverso da quello fino a quel momento prevalente, l'avventuroso, e dall'altro, che iniziava ad affermarsi, detto "sociologico". Inizia cioè a scavare entro paure inconsce senza appigliarsi a pretesti scientifici, mettendo in scena un mondo dominato da logiche fragili e dalle pareti capaci di incrinarsi al minimo incidente. Una quotidianità precaria che non ha bisogno di volgersi al futuro per risultare inquietante. Naturalmente non è l'unica tendenza. Ci si può invece abbandonare alle invenzioni pirotecniche di A.E. Van Vogt, di Cordwainer Smith, di C.M. Kornbluth, di Charles L. Harness, qui tutti al loro meglio.