E' da anni che Gianpaolo Pansa racconta come nessun altro giornalista italiano la decadenza del nostro sistema politico. Lo ha fatto con "Lo sfascio", poi con "Il malloppo", quindi con "L'intrigo", romanzi politici scritti osservando i palazzi del potere e la gente che li abita, i pezzi da novanta e i piccoli pescecani, i grandi attori e i guitti. Oggi, con "Il regime" spiega come dal disastro dei partiti stia nascendo una repubblica autoritaria dove, fatalmente, il potere sarà concentrato in pochissime mani o, forse, nel pugno di un uomo solo: il Grande Capo destinato a sedersi sulla poltrona vuota che spicca al centro della copertina. Attorno a questa constatazione, Pansa ha costruito un affresco feroce dove ogni storia, ogni episodio, ogni personaggio è visto con un occhio speciale: la rabbia del cittadino qualunque che si sente truffato, oppresso, umiliato da una politica sempre più incomprensibile, una politica invisibile e gonfia di misteri, quella che Pansa chiama, con un'immagine raggelante, la politica del serpente. Dominano il quadro le figure centrali del nostro disastro partitico: Cossiga, Andreotti, Craxi, con il corteo che li accompagna o li contrasta. E ci sono anche i personaggi già incontrati nell'"Intrigo": Scalfari, De Benedetti, Berlusconi. Ma il protagonista vero del libro è una figura con mille facce. E' la nomenklatura politica, sono le truppe del regime partitico, che dopo aver sfasciato lo Stato adesso ci preparano l'ultima beffa: il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Nel congegnare questa beffa, i serpenti del partitismo rivelano la loro faccia vera. E' la faccia di chi ha paura della resa dei conti e cerca di non pagarli, mostrandosi sempre più prepotente e autoritario, proprio come certe truppe d'occupazione che, quando sentono d'aver perso la guerra, si fanno più aggressive.