San Benedetto, di cui Salvatore Pricoco pubblica la Regola insieme ad altri testi monastici medioevali, non è stato un legislatore rivoluzionario: ma l'accorto e sapiente erede, insieme rigoroso e moderato, della tradizione monastica occidentale. Egli aveva davanti agli occhi un modello antico e meraviglioso: gli eremiti orientali come sant'Antonio, che da soli lottavano con il diavolo nel deserto. Ma egli credeva che questo miracolo fosse ormai irragiungibile. Voleva fondare qualcosa di più modesto: la vita dei monaci chiusi in una collettività guidata da un superiore, vita che doveva tenere lontana ogni influenza del mondo esterno, ogni viaggio, ogni rapporto con i congiunti. "Nessuno osi riferire ad altro qualcosa di ciò che ha visto o sentito fuori del monastero, perché sarebbe un'enorme rovina". Tutto era calcolato e previsto dalla regola e dalla sapienza del superiore: ma ogni gesto della vita comune doveva essere impregnato dalle parole della Scrittura, imbevuto dallo sguardo luminoso di Dio, che contemplava i suoi fedeli dall'alto dei cieli. Con i suoi minuziosi suggerimenti, la Regola di san Benedetto ci informa con straordinaria efficacia sulla vita quotidiana dei monaci nel Medioevo, rievocando le mense, i lavori, i sonni, le preghiere, le letture comuni, e l'esempio di un amore reciproco senza limiti. "Se un monaco ha la sensazione che un anziano abbia verso di lui sentimenti d'ira o anche una lieve irritazione, subito, senza indugio, si prosti a terra davanti ai suoi piedi e rimanga disteso a far penitenza fino a quando questa irritazione sia placata e si risolva in una benedizione". Edizione con testo a fronte.