Delle molte leggende alla cui nascita Bolano stesso ha contribuito, l'ultima riguarda la forma che "2666" avrebbe dovuto assumere. Si dice infatti che l'autore desiderasse vedere i cinque romanzi che lo compongono pubblicati separatamente, e se possibile letti nell'ordine preferito da ciascuno. La disposizione, ammesso che sia autentica, era in realtà un avviso per la navigazione in questo romanzo-mondo, che contiene di tutto: un'idea di letteratura per la quale molti sono disposti a vivere e a morire, l'opera al nero di uno scrittore fantasma che sembra celare il segreto del Male, e il Male stesso, nell'infinita catena di omicidi che trasforma la terra di nessuno fra gli Stati Uniti e il Messico nell'universo della nostra desolazione. Tutte queste schegge, e infinite altre, si possono in effetti raccogliere entrando in "2666" da un ingresso qualsiasi; ma fin dall'inizio il libro era fatto per diventare quello che oggi il lettore italiano ha modo di conoscere: un immenso corpo romanzesco oscuro e abbacinante, da percorrere seguendo una sola, ipnotica illusione - quella di trovare il punto nascosto in cui finiscono, e cominciano, tutte le storie.
Quali che siano le forme di pubblicazione - i 5 volumi insieme o editi separatamente - il mio commento si concentrerà sull'insieme. L'opera di Bolaño è imprescindibile per riflettere oggi sul potere di rappresentazione e sulla ragion d'essere della letteratura. Come scrivere oggi un romanzo totale, dai canoni anche apparentemente convenzionali, che mina alle radici le sue stesse ragioni d'essere? O ancora, è in crisi il linguaggio o è in crisi l'oggetto-mondo? C'è qualcosa in 2666, come una specie di buco nero, che ti ingoia progressivamente mentre hai l'impressione di procedere con sicurezza. Leggere per credere. E poi è nascosta, credo, nelle pagine finali, una sorta di confessione autoriale sulla natura della stessa opera, quando si fa riferimento al protagonista Arcimboldi. Opera monumentalmente tremenda.
Andrea Santurbano - 13/06/2014 21:01