I nomi di Sandra, Renata, Rachele Lia e Dante, ebrei milanesi di famiglia medio borghese, sono frutto d'invenzione, ma la loro esperienza non nasce dall'immaginazione di chi scrive: i fatti raccontati in questo libro sono perfettamente aderenti alla tragica realtà che vide milioni di deportati precipitare nell'inferno del Lager, e solo pochi di essi riuscire a sopravvivere. E il filtro delle voci femminili che narrano dall'interno la loro vicenda permette di cogliere asprezze dell'universo concentrazionario che spesso rimangono in secondo piano. Questo romanzo risponde alla necessità di non dimenticare quanto avvenne nei campi di sterminio nazisti e di continuare a denunciare, con ogni mezzo, la radicale perversione dell'umano che la cosiddetta soluzione finale rappresentò. A mano a mano che vengono meno i pochi sopravvissuti, i testimoni diretti di quell'orrore, il dovere di ricordare, consegnando il patrimonio della memoria alle generazioni che verranno, diventa per ciascuno di noi testimoni di secondo grado sempre più forte.