Un padre e un figlio. Un confronto complicato, sempre. Specie quando tuo padre sembra disapprovare tutto di te, la voglia di divertirti, l'impegno che non riesce a superare una certa soglia, i sogni che non sono supportati dalla vocazione al sacrificio. Eppure i suoi racconti di giovinezza parlano di notti brave, di avventure, di amici dai soprannomi indimenticabili, Godzilla, Karate, America. Già, che fine ha fatto America? Se le domande sono scomode, più dolorose ancora sanno essere le risposte. E rimangono lì, a morire sulle labbra, salvo riemergere a ogni traguardo della vita, a ogni sguardo verso il passato, a ogni prospettiva di futuro. Giulio Perrone per la prima volta abbandona il genere a favore di un romanzo autobiografico, duro e commovente, che racconta il rapporto tra un padre e un figlio, dai primi agli ultimi giorni, quelli di una malattia crudele come le parole rimaste in sospeso. Un rapporto fatto anche di silenzi, incomprensioni, sfide ed emulazioni, differenze e somiglianze, inevitabili e attese, e di amore.
Se c'è qualcosa di più intimo dell'irrequietezza d'amore, è il suo sperpero tenace e solitario, che non dà pace. L'amore come pretesto per fare a pezzi, punire, per proteggere, a volte per rimediare. L'amore, mai innocente, tra padre e figlio. Due percorsi, due espansioni in cui il tempo ammutolisce, si arrende alla memoria con le sue storie vivaci e rampicanti, i vuoti slegati che diventano stupore, e tutta la fatica, la rabbia del distacco quando la malattia spezza ogni assoluzione. Giulio Perrone ha saputo raccontare, con un linguaggio schietto e potentissimo, tutta la bellezza, caparbiamente radicata, di un legame assoluto che un padre ed un figlio, in modi spesso irrisolti ed inaspettati, hanno voluto e saputo consumare. È un romanzo che consiglio vivamente.
Eziana Babbore - 19/09/2021 14:39