John Coles, 'Lecturer' di Archeologia e 'Fellow' del Fitzwilliam College di Canbridge, è uno degli esponenti di quella che in Inghilterra chiamano 'archeologia sporca', in contrapposizione all''archeologia pulita' classica, greco-romana, di impostazione storico-artistica. Questo libro illustra, forse meglio di altri, la tradizione di ricerca anglosassone, ancorata allo scavo preistorico e romano-britannico, nella quale l'acquisizione e la verifica del dato hanno importanza capitale per la ricostruzione di un passato virtualmente privo di fonti scritte. Ma che cos'è l''archeologia sperimentale'? E' il tentativo di riprodurre attraverso gli esperimenti, nelle condizioni materiali e organizzative più vicine possibili a quelle antiche, strumenti, oggetti, edifici, e di riprodurre anche le circostanze nelle quali gli stessi beni si sono degradati o distrutti. L'incendio di una capanna preistorica ricostruita in Danimarca è forse uno degli esempi più spettacolari, ma potremmo ricordarne molti altri: la costruzione e il viaggio del 'Kon-Tiki' è uno dei più noti. Non si tratta, tuttavia, di un gioco. Tali esperimenti sono essenziali per comprendere lo sforzo dell'uomo primitivo alla ricerca della sopravvivenza, nel suo impatto con l'ambiente. La realizzazione del più modesto degli utensili costa fatica, tempo, ingegno: l'innalzamento e la posa delle pietre di Stonehenge o dell'isola di Pasqua possono farci meravigliare; conoscere gli strumenti e i metodi con i quali tali pietre venivano tagliate nelle miniere, lavorate, trasportate non può non farci sbalordire e riflettere profondamente sulla vita, l'impegno e la cultura delle genti primitive. Un libro accessibile e molto informato, dunque, ma anche un bagno salutare per tanta archeologia di casa nostra, spesso lontanissima dai bisogni, dall'intelligenza e dalle speranze dei nostri antenati. Quarantuno illustrazioni nel testo e diciotto fotografie fuori testo.