L¿eredità più riconosciuta di Henry Corbin è quella dell¿orientalista che ha fatto scoprire insospettate e ricche tradizioni spirituali-filosofiche dell¿Iran sh¿¿ita. Nel presente lavoro ci si è sforzati tuttavia di tenere assieme l¿opera dell¿esegeta e del fenomenologo della religione con quella del filosofo teoreticamente in grado di interrogare da un altro luogo i percorsi della metafisica occidentale sui temi centrali dell¿essere e dell¿¿essere immagine¿. Per esplicita ammissione, si può parlare di un¿insolita prospettiva ¿docetista¿, intesa come fenomenologia di specchi e icone, come metafisica immaginale capace di dare spessore a immagini in continua trasfigurazione dal visibile all¿invisibile e viceversa. Le tradizioni religiose a cui si riferisce Corbin fanno infatti dell¿immaginale la dimensione in cui hanno luogo i fenomeni spirituali. Sarebbe la rimozione di questo piano ad aver determinato, in Occidente, lo scacco di un nichilismo passivo, ostaggio del ¿paradosso del monoteismo¿ che, in ultima analisi, è sempre un¿ontoteologia senza teofania.