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Dei "poteri del giudice", oggetto di questo volume del Commentario, si occupa il Titolo V del Libro I del codice, nell'ambito delle disposizioni generali sul nostro processo civile. L'obiettivo del legislatore, chiaramente espresso nella Relazione al codice del 1940 (par. 13), è di recepire "come affermazioni di principio, gli aforismi dell'antica sapienza: "ne procedat iudex ex officio; ne eat iudex ultra petitum partium; iudex secundum allegata et probata decidere debet" e, al contempo, di delimitare l'estensione dei "poteri del giudice" al fine di assicurare che, nel loro esercizio, essi si armonizzino pienamente con alcune delle fondamentali prerogative processuali delle parti. Lungo queste direttrici si dipana l'ordito del commento degli articoli ricompresi in questa parte del codice. E così, dalla "norma-manifesto" dell'art. 112, con cui si apre il Titolo V, sul dovere del giudice di pronunciare la sua decisione in corrispondenza con quanto chiesto in giudizio dalle parti, si passa alla puntuale riaffermazione nel codice del principio costituzionale di legalità, già ricavabile dal combinato disposto degli art. 24, 1° comma, e 101, 2° comma, Cost., e al dovere per il giudice di fare applicazione, nel decidere la controversia, delle "regole di diritto", con la conseguente residualità ed eccezionalità del ricorso al canone decisorio di equità, pure ammesso dagli art. 113 e 114 del codice.