Nello scegliere le "mie" scrittrici mi sono fatta guidare dal desiderio e dalla curiosità intellettuale. Considero un privilegio aver incontrato Luce d'Eramo, una delle più grandi autrici italiane di questa seconda metà del secolo; e Clara Sereni, con la quale parlare ha significato proseguire un discorso iniziato con la lettura dei suoi libri. Myriam Laurini, scrittrice argentina ancora sconosciuta in Italia, ha raccontato per la prima volta la storia del suo straziante esilio. Pieke Bierman mi ha parlato delle mille metafore di Berlino. Ho scelto Sahar Khalifa perché, pur schierata con passione civile dalla parte dell'Intifada non ha smesso di denunciare limiti e colpe degli uomini palestinesi. Anche Gioconda Belli mi ha raccontato la storia di una ribellione. Solo alla fine mi sono accorta di aver scelto, anche se molto inconsciamente, l'incontro con persone profondamente segnate dall'esperienza e dal dolore. 'Iaia Caputo' Sedotta, interessata da tutto ciò che è inquietudine, contraddizione, ambiguità, ho voluto avvicnare scrittrici i cui testi non sono riconducibili a un genere letterario facilmente definibile o esclusivamente romanzesco: basti pensare ai saggi narrati, o "parlati", di Renate Siebert, alla intensa e intelligente 'non-fiction' di guerra di Slavenka Drakulic, o a certi bellissimi taccuini di vita vissuta di Fabrizia Ramondino. Su questa strada impervia mi hanno incuriosito alcune scrittrici giovani, la cui poetica è ancora in fase di messa a punto: come Banana Yoshimoto o Kaye Gibbons, narratrici tuttavia capaci di coinvolgere il grosso pubblico, americano o giapponese. Anche per l'indiana Anita Desai, vale un discorso analogo. In lei si esprime una tensione culturale fra le più interessanti del nostro tempo: l'ibridismo, la contaminazione delle culture più diverse ed estreme. 'Laura Lepri'