Lo sguardo penetrante e la scrittura precisa e implacabile che hanno aperto la strada a Raymond Carver e Richard Ford tornano a dissezionare l'apparente normalità della middle class americana, ma con toni ancora più drammatici: sullo sfondo dell'ottimismo e della prosperità dell'era Kennedy si disegna la storia dell'ambizione frustrata - e della discesa nella follia - di John Wilder, impiegato che sogna il successo come produttore cinematografico e invece conoscerà soltanto l'angoscia dell'ospedale psichiatrico e le manipolazioni di Hollywood. Introduzione di A. M. Homes.
Forse questo è il romanzo più autobiografico di Yates. Se Revolutionary Road (1961) ha dato inizio in modo straordinario alla sua carriera di romanziere, ''Disturbo della quiete pubblica'' (1975) pone fine con altrettanta cristallina durezza alla sua vita di scrittore e uomo. In tutti i personaggi presenti si riscontra un carattere, un riflesso opacizzato della vita dell'autore.
A cominciare dalla malattia dell'alcolismo, tramandata di padre in figlio, che vedrà soccombere per un'intera vita Yates come John Wilder in preda per tutto il libro a ''i semi dell'autodistruzione'', all'incapacità di reagire a qualsivoglia situazione negativa.
Paradossalmente l'uomo che detiene dentro di sé tutte le caratteristiche non solo per vivere dignitosamente, ma per emergere e distinguersi dalla massa, è imprigionato, relegato a schiavo dalla propria impotenza ad accettare il comune sentire, a reggere il confronto con gli altri.
In un lento processo di annientamento, in cui l'angoscia e l'ansia divorano l'anima a John Wilder, agente pubblicitario di grande successo peraltro, prova inutilmente ad uscire dal suo stato depressivo passando da una seduta psichiatrica a una partecipazione agli alcolisti anonimi, da rapporti adulterini a pose famigliari tranquillizzanti, l'unico approdo sicuro rimane la bottiglia. Che l'umanità sia un legno storto lo si sa dai tempi di Caino, ma finendo di leggere questo romanzo non si può non notare come la società celata nella trama sia oramai generatrice e istitutrice di uno stile di vita contrassegnato sostanzialmente da oggetti e denaro.
Da tutto quello che può sostituire il rapporto umano, il conforto di una voce, la terapia del dialogo tra due persone. Non c'è spazio per pretenziose ambizioni cinematografiche da parte del protagonista, non c'è spazio per trovare in un'altra donna la forza di uscire dal vicolo cieco della disperazione. E' talmente crudo e reale il tono con cui è vergata ogni pagina da farci credere che l'uomo è un'anomalia assurda e inumana, un errore nella catena evolutiva.
Matteo Casali - 25/07/2008 18:38