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Giovanni Gentile. Una biografia - Gabriele Turi
Giovanni Gentile. Una biografia - Gabriele Turi

Giovanni Gentile. Una biografia

Gabriele Turi
pubblicato da Giunti Editore

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L'uccisione di Gentile, nell'aprile del 1944, ha contribuito a enfatizzare i termini della discussione e del giudizio storiografico intorno a uno dei massimi protagonisti della cultura italiana del Novecento. Ha cioè condotto a letture puramente ideologiche del suo pensiero e della sua attività che hanno appiattito il ruolo di Gentile a esponente di spicco del regime fascista e ne hanno, viceversa, sganciato la riflessione teoretica dal contesto in cui era radicata. La ricostruzione della vicenda biografica si propone invece di inserire la sua figura di intellettuale in una prospettiva ampia e di lungo periodo, fissandone contenuti ideali, interlocutori diretti, luoghi e strumenti di espressione nel più generale contesto della storia dell'Italia liberale e fascista. La sua multiforme produzione, non solo filosofica, è ripercorsa sia attraverso il fitto dialogo con i contemporanei sia alla luce del progetto di "riforma" culturale e civile del Paese che Gentile condivide con Croce fino alla rottura tra i due per ragioni non solo politiche.
Il suo incontro con il fascismo non è nè casuale nè strumentale alla riforma della scuola del 1923: da un lato riflette gli orientamenti di ampi settori dell'intellettualità italiana e, dall'altro, è in stretto rapporto con i cardini della riflessione gentiliana: la tradizione culturale, la religione e il rapporto con il mondo cattolico, la centralità della scuola e la valorizzazione dello Stato. E il ruolo svolto da Gentile nel regime fascista - culminato nell'iniziativa dell'"Enciclopedia italiana" da lui promossa e diretta - permette di coglierne la profonda influenza esercitata sugli intellettuali italiani anche dopo la sua morte.

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Giovanni Gentile. Una biografia

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voto 4 su 5 La figura di Gentile ha rappresentato e rappresenta tuttora un vero e proprio tabù per l'intellighentsia italiana. Non è possibile incensarla nei salotti mondani né tanto meno nei convegni accademici per via di quella strana e ostinata adesione al partito dei vinti della storia, coloro che scelsero di stare dalla parte del male assoluto; né è possibile far scendere su di essa l'oblio visto il peso che ha avuto e ha tuttora sugli sviluppi della cultura e della società italiana ed europea. Il libro in questione ha il merito non trascurabile di trattare il problema Gentile senza partigianeria e villaneria di sorta, ma senza neanche quei pruriti nostalgico-revisionisti, tipici di quegli storici che si sentono novelli Cristoforo Colombo nello scoprire territori che a loro dire non sono mai stati percorsi prima. L'autore sfugge inoltre alla trappola di consegnare alle stampe un libro su Gentile, incentrando il suo studio per l'ennesima volta sulla polemica aspra, talvolta malcelata e indiretta, talvolta rissosa e frontale, con Croce. Polemica, è bene ricordarlo, nata per mere posizioni di potere ed egemonia culturale. Ciò che invece può interessare il lettore non aduso a semplificazioni di comodo e non recettivo riguardo a formule da bigino copribuchi è ben altro. Innanzitutto il Gentile"studente diciottenne" (p. 7) che parte dalla natia Sicilia per andare a studiare alla Normale di Pisa. La scoperta di un nuovo mondo più aperto e fecondo dell'ambiente in cui è nato, una scoperta che non gli fa dimenticare il suo "sicilianismo" (p. 40), humus fertile per i suoi studi sul folclore, la cui importanza per una certa Italia contadina e marginale verrà in seguito evidenziata da Gramsci. Il debito filosofico che il giovane Gentile riconosce al suo maestro Donato Jaia, campione inascoltato dell'idealismo italiano, come quello nei riguardi "dell'ebreo D'Ancona" (p. 22) sul tema del metodo storico e sulla "storia letteraria" intesa "come storia civile" (p. 21), che infiammerà il cuore e la mente del filosofo di Castelvetrano nel voler delineare "la vera storia della filosofia italiana" dell'ottocento (p. 69). Perché Gentile anche quando era uomo politico fu soprattutto filosofo e organizzatore di eventi culturali, magari perniciosamente ingenuo e ottuso nel proporre l'abbandono dell'"insegnamento delle lingue moderne" (p. 92) perché ritenuto incompatibile con quello della lingua italiana. Il suo idealismo assoluto contrapposto al positivismo ed allo spiritualismo mira si ad evitare che la scuola si trasformi in una succursale della grande industria, sfuggendo contemporaneamente all'abbraccio mortale della Chiesa cattolica, ma ha nel medio e lungo periodo l'effetto di fare delle aule scolastiche il teatro di mere esercitazioni retoriche e morali, del tutto scisse dalle esigenze della società esterna. Effetto nefasto solo in parte attutito nei licei dall'esigenza proclamata a gran voce di dare dei "testi greci e latini non solo la traduzione, ma anche l'originale" (p. 184). Uno dei punti di forza del libro è dato dalla capacità dell'autore di mostrare come alla base dell'impegno politico del Gentile ci sia il tentativo di riorganizzare la società italiana attraverso la scuola, vista come l'ideale completamento di quel processo di liberazione nazionale iniziato con le armi con le guerre di indipendenza ottocentesche. Un ruolo che la scuola, se la memoria non inganna, non ha avuto mai più nella mente di alcun altro uomo politico e che costituisce il lascito più importante e ingarbugliato di Giovanni Gentile ai posteri.

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