Fra gli studi sulla crisi della modernità, questo saggio si inserisce con forza da una prospettiva inattesa. I nostri antenati greci avevano un sistema di valori indivisibile, fatto di giustizia e bellezza. La bellezza, raccolgliendo approvazioni indiscutibili, aiutava ad assicurare un consenso anche alla morale. Una relazione armonica tra bellezza e giustizia sopravviveva nel Rinascimento, insieme a un rapporto tra piazza e palazzo. Ma il protestantesimo e la modernizzazione spaccano questa unione, in nome di una giustizia ascetica e della funzionalità. Il bello, non essendo direttamente utile, si incammina in direzione del passatempo e dell'investimento. Intanto, privatizzazione e razionalizzazione della vita eliminano la piazza, dove si godeva la bellezza gratuitamente e insieme. L'arte si fa specialistica e la massa si abitua alla bruttezza come condizione normale. Ma il cinismo verso i valori della giustizia, che la società di oggi si rimprovera, potrebbe derivare anche dall'aver eliminato quelli della bellezza, da cui la loro radice è inseparabile.
Le considerazioni di Zoja sono acute, limpide, illuminanti. Egli ha la capacità che solo persone estremamente colte e sensibili possiedono di sintetizzare e di rendere semplici, accessibili, due concetti enormi, fondamentali per l'uomo e di tracciarne l'excursus millenario. Questo è un saggio adatto a tutti, che tutti dovrebbero leggere e su cui dovrebbero meditare. Un libro che andrebbe adottato nelle scuole non solo dagli insegnanti di filosofia. Un grazie di cuore, commosso, al professor Zoja.
Anonimo - 19/11/2009 08:55