Monte Mario, Roma. Nei primi giorni di un'estate torrida, branchi di cinghiali imprevedibili invadono l'intero quartiere, seminando il panico. Mentre la loro presenza si fa sempre più minacciosa, la città e i suoi abitanti sono costretti a fare i conti con le proprie vulnerabilità. Con uno stile che fonde continuamente ironia e pietas, la penna di Umberto Apice ci guida attraverso le vite intrecciate dei personaggi, tra scene di vita quotidiana, situazioni grottesche, eventi forti e drammatici determinati dall'apparizione di cinghiali. Persone anziane che a seguito di cadute vanno incontro a degenze ospedaliere lunghe e angoscianti, lutti improvvisi che si abbattono su famiglie che erano felici, giovani che vedono brutalmente spezzati i loro progetti esistenziali. La trama distopica, e cioè l'incombente minaccia di un assedio da parte di una natura ostile, fa solo da sfondo, da intelaiatura. Il resto è realismo, sia pure paradossale: tutti cerchiamo di stare al mondo in maniera soddisfacente, ma ci ritroviamo a vivere in città sempre più arcigne e fallimentari. I cinghiali, nella mente del lettore, resteranno come metafore di quei mali oscuri che, nelle vite degli individui e delle città, compaiono e scompaiono; oppure come indizi di qualche cosa che gli uomini non riescono a comprendere con chiarezza.