Leo Perutz è riconosciuto maestro di una specie particolare del fantastico: quella che si insinua nella realtà come una goccia di veleno, e la trasforma dall'interno in un'avventura demoniaca, senza che ci sia bisogno di ricorrere a troppo evidenti apparati di prodigi. Ma l'effetto è ancora più inquietante. Nel "Cavaliere svedese", sullo sfondo fosco di un'Europa di briganti, dragoni e locandieri all'inizio del Settecento, si raconta la storia di un ladro vagabondo che ruba l'identità a un giovane cavaliere svedese, diventando così egli stesso un potente che riesce ad attuare tutti i suoi sogni. Ma la potenza del 'barone del malefizio' aleggia, palpabile e imprendibile, su questa vicenda. E il Diavolo sa riapparire sempre, per lo meno quando la partita giocata con lui si avvicina alla fine.
Romanzo spettacolare, bellissimo. Assolutamente da rendere in film. Scritto superbamente, altrettanto superbamente tradotto in questa edizione. Narra una storia fantastica, misteriosa, triste, al centro della quale c'è la forza dell'amore tra uomo e donna e tra genitori e figli (ma non solo). Lo sfondo delle guerre europee alla fine del seicento e la condizione delle persone in quei tempi potrebbe farne un romanzo storico, ma la dimensione sovrumana, quasi magica, degli eventi ne fanno uno spunto per più di una riflessione sul significato dell'esistenza umana e del destino.
Anonimo - 25/09/2012 21:14