Marco Carrera è il colibrì. La sua è una vita di continue sospensioni ma anche di coincidenze fatali, di perdite atroci e amori assoluti. Non precipita mai fino in fondo: il suo è un movimento incessante per rimanere fermo, saldo, e quando questo non è possibile, per trovare il punto d'arresto della caduta - perché sopravvivere non significhi vivere di meno. Intorno a lui, Veronesi costruisce un mondo intero, in un tempo liquido che si estende dai primi anni settanta fino a un cupo futuro prossimo, quando all'improvviso splenderà il frutto della resilienza di Marco Carrera: è una bambina, si chiama Miraijin, e sarà l'uomo nuovo.
Per chi corre, la staticità di Marco è deleteria. Immobile in attesa degli eventi che arrivano prepotenti, sferzate di vento che lo scaraventano dallaltra parte della stanza. Lui non si ripara, prova a stare fermo, aspetta di essere attraversato, che tutto se ne vada altrove. Un pavido, dicono. Ma se lo guardassero bene vedrebbero ali sbattere 70 volte al secondo per riuscire a stare fermo, risalire il tempo.
Quanto tutti scappano, lui resta per accogliere ciò che accade, apprezzare ciò che ha.
Marco è come il colibrì in un mondo frenetico che richiede un battito dali ancora più rapido per non soccombere. Unapparente immobilità che porta ad uno spostamento lento, appena percettibile verso una direzione che mai sinterseca con il punto di partenza. Essere un colibrì è resilienza, per stare fermi ci vuole coraggio.
Un libro potente, emozionante, unesplosione nella sua staticità.
saramarialuna84 - 09/10/2020 08:13