Da quando, nel 1930, è uscito il libro più famoso di Praz, «La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica», l'intuizione critica che lo ispirava è quasi diventata un luogo comune: accade cioè che «chiunque si occupi delle origini della sensibilità moderna ne tiene conto, anche senza aver letto e compreso l'importanza di Praz. È il destino di coloro che hanno ovviamente ragione, ma nulla toglie al fatto che sono pochi i critici cui sia stata concessa un'idea così brillante» (Frank Kermode). E una necessaria integrazione di quell'opera capitale è «Il patto col serpente», che svela sin dal titolo il suo cuore nero: come nel quadro di Hans Baldung Grien, assunto dallo stesso Praz a emblema del libro, il serpente tentatore è infatti l'immaginazione, che per il tramite di Eva (la sensibilità) corrompe Adamo (la volontà) svelando le zone più inconfessabili dell'anima e dando così libero corso alla malinconia, alla fantasticheria aberrante e mostruosa, alla perversione, alla nevrosi: «Sono effeminato,» si legge nelle «Confessioni di un giovane inglese» di George Moore «morboso, perverso. Ma soprattutto perverso. Tutto ciò che è perverso mi affascina». Motivi, questi, che dal Romanticismo in poi accomunano un'intera legione di artisti Fussli e Poe, i Preraffaelliti, Ruskin e Pater, J.A. Symonds, Vernon Lee e Walter de la Mare, D'Annunzio, Rodin, Proust. Grazie a Praz, al suo inimitabile metodo fondato sull'«esplorazione ravvicinata» e sulla «relazione», sulla capacità, cioè, di individuare in un quadro o in un testo un dettaglio e di inserirlo in una rete di rapporti , alla sua prosa perfetta, li vediamo sfilare sotto i nostri occhi quasi assistessimo, affascinati, «a una serie di "entrées" in un grande balletto con scene che si susseguono in straordinarie esibizioni» (Giovanni Macchia).