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La notte di fuoco

Eric-Emmanuel Schmitt
pubblicato da EO

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Febbraio 1989. Un gruppo di escursionisti francesi parte da Tamanrasset per una spedizione di dieci giorni a piedi nel cuore del deserto del Sahara. Oltre ai dieci europei, del gruppo fanno parte una guida tuareg e tre dromedari che trasportano cibo e masserizie. Non si tratta di turisti ordinari, ma di gente motivata: c'è Gérard. il regista che deve girare un film su Charles de Foucauld, mistico del secolo scorso che ha vissuto tanti anni in mezzo ai tuareg; c'è l'astronomo Jean-Pierre, per il quale il deserto è prima di tutto un luogo privo di qualsiasi inquinamento luminoso; c'è Thomas, il geologo... E c'è un giovane scrittore ventottenne, Eric-Emmanuel Schmitt, chiamato da Gérard a scrivere la sceneggiatura del film su Foucauld. Fino a un certo punto il romanzo, autobiografico, ci narra le peripezie e le sorprese dei viaggiatori, la scomodità dei bivacchi, le meraviglie della natura incontaminata. Poi il giovane scrittore si perde, si ritrova da solo, di notte, nel deserto, senza cibo né acqua, quasi senza vestiti, e si chiede se sopravviverà. È il momento culminante dell'avventura, ma non la cosa più importante. Molto più importante è l'esperienza mistica che vivrà quella notte, la rivelazione di qualcosa di infinito e potentissimo che travalica gli orizzonti umani c che lui, per mancanza di altri termini, chiamerà Dio.

La recensione del libraio

“La notte di fuoco” è il racconto autobiografico di un viaggio intimo, di una trasformazione personale, di una vera e profonda conversione.
Eric Emmanuel Schmitt ha ventotto anni quando nel 1989 intraprende un’avventura nel Sahara insieme ad un gruppo di compagni casuali che per motivi tra i più disparati desiderano confrontarsi con se stessi e con la natura dura e selvaggia del deserto. Il capogruppo di questi dieci escursionisti è il giovane Donald, americano dai boccoli biondi e dal fisico da surfista, che pur discostandosi molto dall’idea stereotipata della guida si dimostrerà un ottimo punto di riferimento. Fin dall’inizio, però, é la figura di Abayghur ad emergere e a conquistare l’affetto e l’attenzione del lettore. Il tuareg dall’età indefinita, bello e raffinato, regale nell’andatura e nobile nei sentimenti e nelle azioni diventa il cuore pulsante della compagnia. Pur non conoscendo una parola di nessuna lingua che non sia il Tamasheq riesce a comunicare armoniosamente con ogni componente del gruppo perché “nel deserto ci si capisce senza parole”. Schmitt in quegli anni era ancora professore di filosofia all’ Università della Savoia, ma cominciava a muovere i primi passi verso quella che sarà la sua vera passione e professione, la scrittura. Chiamato dal regista Gerard per scrivere la sceneggiatura di un film su Charles de Foucauld, ex militare della Francia coloniale che una volta convertitosi al cattolicesimo decide di vivere con i tuareg per conoscerne e tramandarne la più intrinseca natura, accetta di attraversare il Sahara e di ripercorrere le orme del monaco francese. L’esperienza si dimostra fin da subito colma di imprevisti e di difficoltà, ma umanamente ricca ed emotivamente intensa. È un viaggio nel mondo e in se stessi, una ricerca interiore che porta a disquisizioni filosofiche e a riflessioni esistenziali. Ognuno dei “pellegrini”, dall’astronomo Jean-Pierre, al geologo Thomas, all’oculista e cattolica Ségolèneè spinto da forti e personali motivazioni e riveste un ruolo ben definito nell’economia del gruppo. Il giovane Schmitt si confronta con ognuno di essi facendo intuire fin dalle prime pagine che il viaggio assumerà una connotazione molto più spirituale di quanto la sua convinta logica razionale gli avesse fatto prevedere. “Da qualche parte mi attende il mio vero volto”, ripete dentro di sé come un mantra ossessivo , mentre cerca di affrontare la confusione e l’inadeguatezza dei suoi ventotto anni. Il percorso sembra svolgersi secondo il programma stabilito fino a quando si presenta, improvvisa e inaspettata, la prova che Schmitt dovrà sostenere completamente solo e che lui stesso in seguito definirà“ illuminante”.
Durante un’escursione Eric si perde e si trova costretto ad affrontare la notte sahariana in pieno isolamento. Senza cibo, né acqua e con pochi abiti addosso deve sopravvivere al nemico-amico deserto combattendo il freddo e la paura, i pericoli e la solitudine. Nella notte egli vivrà un’esperienza mistica che cambierà per sempre la sua visione della vita e del proprio esistere. Schmitt usa termini come forza, energia, fiamma che gli hanno permesso di vivere “la totalità in una notte”. Sono due capitoli di pura poesia in cui l’autore a distanza di venticinque anni racconta il suo improvviso e inaspettato avvicinamento all’infinito. La sua profonda razionalità filosofica ha vacillato e tremato fino a frantumarsi di fronte all’Inspiegabile.Gli orizzonti umani si dissolvono davanti ad una forza potentissima che non troverà altro nome se non Dio. Lo stile impeccabile che da se

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