Noi siamo i nostri ricordi, la nostra memoria. Jamal ed Elisa sono due ragazzi che fuggono dal loro passato. Zano e De Marco sono due detective che cercano il loro riscatto. Verre è uno scienziato che si trova a dover fare i conti con la propria coscienza. Le strade di questi personaggi si incrociano quando avviene un'esplosione nella sede della Onlus che ospita Jamal, situata proprio vicino alla Jocke Biotechnology, dove lavora Verre. Zano deve scortare i due, ma perché?
La prima considerazione che mi viene in mente e' che se questo e' un libro di esordio, allora c'e' di che ben sperare.
Per due motivi almeno , e il primo va detto subito: non sembra un libro di esordio. La storia ha una struttura solida dietro la quale c'e' evidentemente ricerca e riflessione; la scrittura e' fluida, come di chi scrive da una vita; la sensibilita' per le vicende umane, le circostanze e i luoghi e' evidente.
Detto questo, la vicenda narrativa mi ha genuinamente intrigato dall'inizio e poi del tutto appassionato alla fine. Dell'inizio si puo' dire senza anticipare nulla di rilevante, mentre dello sviluppo narrativo (e chiarificatore) finale no, anche perche' e' tenuto ben celato fino al momento opportuno e sarebbe peccato rovinare la festa.
Mi ha intrigato fin da subito la caratterizzazione dei personaggi. Il primo, quello di Elisa, perchè il suo contesto e' forse quello che noi siciliani siamo abituati a vedere descritto, soprattutto sui libri (ma anche al cinema), da sempre. Ma Elisa ha carattere e condivide con me una passione forte, la fotografia, percio' era inevitabile l'empatia. Il "racconto" iniziale della preparazione ad uno scatto e' assolutamente verosimile per chi si diletti a tenere in mano una reflex.
Jamal e' altrettanto realistico, e nella brutalita' delle vicende lo e' anche di piu' poiche' non c'e' nulla di romanzesco in quel che accade a lui e (fino ad un certo punto) a milioni di altri sventuari come lui.
Zeno sarebbe anche il classico stereotipo del detective privato letterario se ... non fosse che e' quel che e', viene da dove viene, e vive a Palermo. E' difficile non prenderlo subito in simpatia e non solidarizzare con la sua vicenda. Perfino nei tempi morti che nella vita reale esistono, e non si possono sempre nascondere. La differenza la fa come ci si transita attraverso.
E infine De Marco e' ... il tributo ai grandi ispettori che ogni scrittore fa come amante di un genere letterario che sta con un piede nel thriller e l'altro nel giallo. E come molti dei grandi ispettori, non pretende di essere simpatico (anche se poi, inevitabilmente ...), ma e' coerente e credibile, e non e' poco.
Il collante fra tutte queste storie umane non e' solo la vicenda che fa da spunto al romanzo e al successivo intreccio narrativo. No, c'e' anche una chiara dichiarazione di amore per i luoghi della Sicilia che fanno da sfondo alle vicende. Lo rivela la descrizione quasi emotiva degli stessi in cui vengono inclusi i colori (perfino della luce), gli odori, il caldo e gli umori che ne conseguono: il brano che introduce Santa Maria di Ninive è un affresco di sicilianità che risulta autentico perfino per chi ha letto in abbondanza da Camilleri a Toscano a Piazzese e giu' all'indietro coi loro illustri predecessori.
E su tutto questo appare ingegnoso lo strappo finale, il viraggio su un tema apparentemente antonimico a tutto questo e che invece si incastra perfettamente in quello che poi, retrospettivamente, si intende come una costruzione preparata per tempo e che progredisce senza soluzione di continuità.
E quindi ecco il secondo motivo per cui c'e' di che ben sperare: i personaggi che arrivano in fondo sono stati costruiti "per durare" e hanno un chiaro potenziale di "sopravvivenza" in qualche seguito. E sebbene la storia inequivocabilmente si concluda, anche il tema stesso del racconto non puo' dirsi del tutto esaurito e lascia spazio, volendo, per ulteriori sviluppi.
In sintesi, e indubbiamente: buona la prima !
Giuseppe Andrea Avvinti - 28/06/2021 09:39