Possiamo piangere per le vite perdute di cui ogni giorno abbiamo notizia - vite precarie di rifugiati, di innocenti torturati, di immigrati schiavizzati dalla fame e legalmente invisibili? Scuotiamo la testa di fronte alla loro miseria, ma poi accettiamo che vengano sacrificate in quanto irrecuperabili. In risposta alla violenza diffusa e a metodi di coercizione sempre più aggressivi, Judith Butler esplora le modalità con cui i media «inquadrano» i conflitti armati e razionalizzano la morte di interi popoli, considerati come minacce esistenziali piuttosto che come popolazioni bisognose di protezione. Solo riconoscendole come vite vulnerabili e non ancora perdute sarà possibile concepire una denuncia della violenza arbitraria dello stato da parte di una sinistra globale, fondata su un'opposizione convinta a ogni interventismo militare.