La prima cosa che colpisce lo spettatore è la completa assenza del bianco e nero. Non solo, la presenza di colori il più delle volte forti, accesi, qui costringe lo sguardo a un'attenzione tacitamente indotta, veicolata. I celebri ritratti di Maria Mulas lasciano il posto a un nuovo racconto in cui viene innanzitutto chiamata in causa l'Arte e chi l'osserva. Il citazionismo è solo una delle molteplici chiavi di lettura. Le opere di Magritte, Leonardo da Vinci, Dan Flavin rivivono nelle immagini dell'artista connotate da nuovi significati. L'Arte, nella narrazione della Mulas, diviene, in primo luogo, relazione tra l'artista e il suo pubblico, tra l'opera d'arte e il suo soggetto. E la fotografia diviene il veicolo di questa relazione. Valendosi spesso di sovraimpressioni e di accostamenti allo stesso tempo audaci ed emotivi, Maria Mulas associa opere d'arte o personaggi del passato a nuovi contesti e a nuovi simboli che inevitabilmente determinano nuove associazioni. L'"Ultima cena" di Leonardo diventa "L'ultima scena" della Mulas. Un'inquadratura frontale riprende i turisti di schiena mentre indugiano sul celebre affresco. La nota parete diventa uno schermo, anzi un maxi schermo, degno di un cinema multisala. Gesù, il primo attore che recita una parte ormai conosciuta, o meglio l'ultima scena, appunto, della storia più famosa del mondo. Mentre tutti stanno a guardare. È in questa delicata reinterpretazione dei ruoli che risiede l'mportanza di Maria Mulas, in queste immagini e nei suoi ritratti. (Dalla prefazione di Giorgio Bonomi)