L'ascendenza cartesiana di Teste non ha bisogno di essere provata. Valéry stesso si riferisce più volte al suo eroe come al «mio cogito» []. L'operazione di Valéry è, però, ben più che una semplice ripresa dell'esperienza cartesiana del cogito. La ripresa che egli attua è, infatti, nello stesso tempo, una decostruzione, in virtù della quale ciò che era un principio e un fondamento diventa una finzione teatrale e un limite impossibile. Più volte Valéry insiste sull'aspetto funzionale e operazionale del suo «ego» contro ogni rischio di sostanzializzazione. Ciò che egli cerca leggiamo in un passo che documenta la nascita stessa del sistema di Valéry è «spingere all'estremo la funzione dell'Io, e non la sua personalizzazione» []. È allora evidente che il suo «ego» a differenza di quello di Descartes, che si è «lasciato incantare dallo sguardo di Medusa del verbo Essere» non può aprire alcun varco sull'essere. Al «penso, dunque sono» cartesiano, la testa oracolare che Valéry situa nell'isola immaginaria di Xiphos (che potrebbe ben essere la patria di Teste) oppone il suo: «io non sono; io penso». Traduzione di Clarissa Martini. Con uno scritto di Giorgio Agamben.