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Chi conosce il cinema di Bellocchio, dal clamoroso esordio dei Pugni in tasca che esaltò un'intera generazione, al recente Sogno della farfalla, dove un attore che ha scelto di non parlare recita proprio Il Principe di Homburg, non si stupirà della scelta del regista di portare sullo schermo quest'opera di Heinrich von Kleist, in cui le opposte esigenze della legge e dell'umanità s'incontrano pur restando inconciliate. E non é tanto il dramma politico a coinvolgere Bellocchio, quanto il tema profondo - e dal cineasta mai tralasciato - del conflitto padre-figlio (coscienza-inconscio) e della descrizione di una follia "normale" intessuta di fragilità e coraggio, di abbandoni emotivi e sbandamenti panici, quale traspare dall'immagine interiore del protagonista.
La sceneggiatura, che segue fedelmente il testo, mette in luce gli aspetti che più coinvolgono il regista, come la catastrofe dell'ubbidienza al padre, la necessità di una separazione radicale, e lo scontro fra dovere e libertà del Principe. Il quale finisce per incarnare, come afferma Tullio Kezich nella sua introduzione, non tanto l'onore militare o la sete di gloria, ma l'orgogliosa intangibilità della giovinezza.
Un'ampia intervista a Marco Bellocchio di Giovanni Spagnoletti chiude il volume che, oltre a riproporre una particolare lettura di un capolavoro della letteratura romantica tedesca, permette di ricostruire un itinerario artistico tra i più significativi del cinema italiano.
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