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Le società industrializzate del terzo millennio si trovano affidate alle cure della scienza e fondano le loro decisioni su tecniche di previsione sociale ed economica basate sulla razionalità. Per questa via, il sapere scientifico diviene gradualmente una specie di nuova religione laica, eticamente neutra, giustificata dal suo stesso essere e dotata di una validità immanente che non ha bisogno di imperativi etici trascendenti. Nella maggioranza dei casi, proprio la neutralità diviene il paravento dietro il quale si dissimula il divorzio tra la scienza troppo incline a dimenticare di non essere altro che un'impresa umana e la coscienza. Per ricomporre il dissidio non è sufficiente far leggere Shakespeare agli ingegneri o spiegare la seconda legge della termodinamica ai cultori di letteratura; serve piuttosto comprendere che l'avvenire non dipende dal semplice sviluppo scientifico, bensì dalla capacità di valutazione critica globale, cioè da una cultura integrata in cui la scienza riscopra la sua funzione rispetto al significato dell'uomo senza pretendere di esaurirlo. «Ho imparato scrive Franco Ferrarotti che il ricercatore è sempre dentro, non fuori, della ricerca. Ho imparato, in altre parole, che il ricercatore è sempre, anche lui, un ricercato».

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Scienza e coscienza
 

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