"Se esiste 'il' testo sull'amore nella nostra civiltà, a cui ogni testo successivo non può che ricondursi, questo è il ""Simposio"", il dialogo di Platone che più di ogni altro ha mantenuto intatto il ""fiore della gioventù"" e ci si offre naturalmente non già come una disputa filosofica, ma come una lunga conversazione - forse la più bella conversazione della letteratura - fra spiriti ""eccellenti"" (oltre a Socrate, il suo grande avversario Aristofane e il bellissimo Alcibiade) che, uno dopo l'altro, prendono la parola e raccontano di una potenza inesauribile, Eros. C'è chi dice che sia il dio più antico , altri invece sostiene che è il dio più giovane, altri che è un grande demone. A tutti esso appare ""meraviglioso fra gli uomini e gli dei"". Le due forme di Afrodite, il mito dell'androgino, le origini del'antichissimo desiderio ""di fare, di due, uno"" e così di ""guarire la natura umana"", ""la morbidezza"" e ""l'asprezza"" dell'amore, la natura del desiderio: con articolazione sottilissima, attraverso le varie voci, Platone tocca tutti i punti sensibili dell'eros e infine affida a una vera iniziatrice ai ""misteri dell'amore"", Diotima, il compito di schiuderne i segreti ultimi. E qui, come pure nell'ultima, trascinante apparizione di Alcibiade, diventano espliciti, forse più di altre volte in Platone, i riferimenti alla ""sapienza"" e all'""enigma"". Anche per questo, dunque, Giorgio Colli è stato interprete profondamente congeniale di questo testo, in cui risuonano, limpidi e misteriosi, alcuni temi che sono stati centrali per la sua interpretazione del mondo greco."
Mi sono prefisso di leggere il Simposio di Platone (questa edizione) come se fosse un testo di letteratura, per entrare un po' di più - se l'operazione è ancora possibile - nel pensiero degli antichi. Ogni tanto mi avvicino con questo spirito ai testi antichi.
Questo, più di altri testi più immediatamente "filosofici" (= vogliono insegnare qualcosa), lo permette, perché colloca un dialogo a più voci (ci sono Socrate e Aristofane, e l'intellighenzia ateniese del IV sec. a.C.), in un contesto particolare, il simposio. Per sapere che cosa fosse e significasse il simposio (syn-pòsis = "bere insieme", convivio) per i Greci, rimando ad un penetrante saggio di Maria Luisa Cantoni: "Bere vino puro". Mi viene spontaneo pensare che la pratica sociale di trascorrere "in modo intelligente" il "tempo libero" da parte della classe (maschile) dominante non fosse un'esclusiva del mondo greco: di cosa discorreva quando non guerreggiava l'aristocrazia egizia, assira o persiana? Non lo sappiamo (certo non possiamo pensare che parlassero sempre in tono ieratico come nei "peplum" biblici). I Greci invece ce l'hanno orgogliosamente tramandato, e noi li guardiamo con stupore, perché generalmente non sappiamo più impegnare il tempo libero per migliorarci, per cavare il meglio dalla vita spirituale, fisica e di relazione.
Un'altra considerazione (detta con "epoché") è quanto siano cambiati scala e metro dei valori con la fine della civiltà classica.
Dario Bottos - 28/05/2013 08:37