Per lungo tempo, la Rivoluzione francese è stata un soggetto politico più che scientifico, un argomento che si allontanava nel tempo senza mai entrare nella storia: piuttosto, la Rivoluzione era entrata direttamente nel mito. Un mito costruito dai suoi contemporanei e attorno al quale si sono strutturate le società occidentali dei due secoli successivi, ma che in una contemporaneità disillusa sul progresso si è ormai appannato. Perché allora continuare a studiare e leggere la Rivoluzione francese? Patrice Gueniffey offre la risposta a questa domanda in una serie di saggi, che, restituendo l'incredibile ricchezza della Rivoluzione, non solo ne fanno emergere il carattere di laboratorio della modernità, ma costituiscono nel loro insieme una riflessione sul fenomeno democratico. Questa pluralità di Storie, scritte con uno stile rigoroso e vivace, diventa così una chiave di lettura per ripensare quella che era stata la vera religione degli uomini del 1789: la politica.
Il titolo nasconde la ricchezza di contenuti del libro. Non è (come potrebbe sembrare) un testo sulla storiografia della Rivoluzione, ma una raccolta di saggi su personaggi chiave, "partiti" e vicende del 1789-1797: La Fayette o i vicoli ciechi del liberalismo, l'invenzione del voto, i modi e le possibilità dei rivoluzionari di uscire da Rivoluzione, Robespierre, De Maistre e la reazione alla Rivoluzione. Il saggio più importante è quello su violenza e Terrore. Nell'Introduzione, un'acuta riflessione sulla crisi della concezione occidentale della storia, una concezione che alimentava la speranza rivoluzionaria. Una crisi che è anche crisi della politica: questa ha perduto il suo primato a vantaggio dell'economia. "Assistiamo alla scomparsa della convinzione dell'efficacia della politica, che era il cuore del messaggio elaborato dalla rivoluzione del 1789", scrive Gueniffey.
carlo cerbone - 19/10/2013 19:04