Nei momenti cruciali della vita, davanti ai soprusi dell¿esistenza l¿uomo si chiede fatalmente «Perché?» e la risposta più antica che avanza è: «Destino!», parola vuota e densa, cui ascrivere la durata della vita, la natura della morte, l¿instabilità della fortuna, la diversità dei percorsi individuali. Il destino è inspiegabile quando distribuisce caratteristiche congenite, è assurdo quando uccide persone innocenti, è strapotente quando decreta rovine, è inflessibile quando vanifica i disegni dell¿uomo. È di natura più che umana e d¿abitudine è collocato «aldilà» dell¿uomo: tessuto dagli dèi o scritto nelle stelle, pianificato da anime già morte o determinato da geni in esseri non ancora nati. L¿idea di destino incontra l¿ostilità di chi rivendica all¿uomo la libertà di auto-determinarsi, di chi colloca dentro l¿individuo il razionale della sua esistenza. Eppure, anche dentro l¿uomo esiste un «aldilà» della coscienza, una dimensione inconscia che interviene nelle scelte dell¿individuo, che è impenetrabile alla conoscenza e più potente delle sue intenzioni. Inconscio potrebbe essere un altro nome per indicare il destino. In esso è depositato un disegno evolutivo che si realizza negli intrecci di coincidenze significative, che sbaraglia ogni deliberazione cosciente, ma che esige sempre la partecipazione della coscienza. Perché la forza del destino è possente, ma lascia all¿individuo margini di libertà tanto ampi da scegliere, perfino, tra la possibilità di vivere per niente o morire per qualcosa.