In "Ufficio del sole" Giusi Busceti si muove con destrezza, con pacata (ma vibrante) saggezza tra innumerevoli dettagli, còlti in presa diretta o riaffiorati nel ricordo, prelevati da una quotidianità orizzontale, in parte sempre insondabile o vagamente misteriosa. La meditazione lirica di Busceti avviene in perlustrazioni nel tempo, fino al riemergere anche del passato, frutto di uno sguardo sensibilissimo che si esprime nei luoghi più vari, vagabondando tra cielo e bassa condizione anche domestica. Ne scaturisce un resoconto poetico mosso da un continuo incalzare di minimi eventi e feriali passioni, spesso accompagnate da un diffuso dolore, da barlumi d'amore o da improvvise speranze di apertura, per quanto sempre aleatoria e problematica. Nella loro composta medietà di tono, i versi sono sempre densi, fitti di concrete circostanze e accostamenti felicemente imprevisti eppure articolatissimi e coinvolgenti. La pronuncia di Busceti è asciutta e controllata, ma a volte d'improvviso si contrae, oppure ci offre piccoli passaggi di dolcezza con l'apparire di personaggi, di figure anche familiari. Ne scaturisce una identità poetica tanto complessa quanto autentica e riconoscibilissima.