Non solo grande critico ed erudito, ma saggista nel senso della più alta tradizione inglese quella di Lamb e di De Quincey , viaggiatore, memorialista, narratore, Mario Praz ha composto in questo volume una sua «antologia personale», raccogliendo testi dai caratteri più diversi, da lui scritti nell'arco di più di cinquant'anni (1945-1975). Ne è risultato un libro che forse un giorno apparirà come il suo più felice in assoluto. Qui, come anche nella «Antologia personale» di J.L. Borges, i testi assumono una nuova patina, per opera del loro nuovo contesto, intridendosi di un fascino penetrante e peculiare: quello dell'autoritratto. Come Praz ha voluto precisare nella prefazione a questa «antologia», egli sente di appartenere alla «categoria di persone dotate d'intelligenza imperfetta», quelle scriveva Lamb che «si contentano di frammenti e di ritagli della Verità», che la colgono solo «con un lineamento o di profilo tutt'al più», perché «le loro menti sono meramente suggestive». Ma i «frammenti» e i «ritagli della Verità» che Praz è venuto accumulando nella sua davvero prodigiosa attività, rivolta nelle più svariate direzioni, formano una compagine imponente. Da essa Praz ha distaccato i tanti, perfetti tasselli di questo «autoritratto», col quale è riuscito a compiere un'impresa assai ardua: applicare a se stesso la stessa chiaroveggenza critica che ha reso celebri tante sue ricerche, giocate sulle risonanze e sulle filiazioni. Così, leggendo queste pagine non solo si avrà la sorpresa di scoprire molti testi dispersi e spesso ignorati (per molti saranno qui del tutto nuove certe affascinanti prose narrative, che hanno avuto una circolazione molto ridotta rispetto ai libri di critica), ma si osserverà il lento diramarsi delle linee di una vita. Ed è questa la «voce dietro la scena» a cui allude il titolo. Nel percorrere questo vasto «museo di simpatie e differenze» (Borges) siamo come attirati da un suo disegno segreto, che neppure l'autore conosce eppure guida la sua mano. È lo stesso fascino della «voce dietro la scena», che «non manca mai d'efficacia perché gli uomini sentono che c'è un canto dietro la scena della loro vita stessa», anche se di esso a mala pena «afferriamo la rima».