I teologi del neoconservatorismo e dell'internazionalismo liberale credevano che col Duemila sarebbe arrivata la fine della storia, intesa come occidentalizzazione del mondo. L'Unione Sovietica era caduta. La Cina era la grande ma tranquilla fabbrica della globalizzazione. Nessun aspirante egemone capace di impensierire gli Stati Uniti. Ma allo scoccare della mezzanotte dell'ultimo dì del Novecento accadde qualcosa di imprevisto: il presidente in carica della Russia rassegnò le dimissioni durante gli auguri di capodanno, lasciando il posto a uno sconosciuto securocrate proveniente dal defunto KGB. Era la suggestiva entrata in scena di Vladimir Putin, l'uomo eletto dalla Lubjanka per riportare la Russia nella storia e per riaprire un conto che gli Stati Uniti credevano di aver chiuso: la Guerra Fredda.