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«Quegli eventi spaventosi, che comportarono un momentaneo imbarbarimento di tutti gli standard morali e un carico atroce di sofferenze, non si lasciarono dietro un mondo istupidito e in declino, bensì una società formicolante di energie e d'una ritrovata voglia di vivere». ALESSANDRO BARBERO Nata nelle sconfinate steppe asiatiche e diffusasi attraverso la Cina, la peste nera che ha travolto il pianeta nella metà del Quattordicesimo Secolo è la più terribile pandemia che l'umanità ricordi. Un terzo della popolazione europea ne cadde vittima, un dato che equivarrebbe oggi a oltre 200 milioni di persone. L'Italia fu il primo paese dell'Europa occidentale ad esserne colpito, e mentre le altre nazioni poterono affrontarla perlomeno con una minima esperienza, l'epidemia si abbatté sulle città che si affacciavano sul mare come una vera sciagura. Per cinque terribili anni, la morte proietto la sua sinistra ombra ovunque. Ma alla fine di quel cupo incubo, tutta l'Europa, da Venezia e alla penisola iberica, da Messina a Milano, dai paesi di lingua tedesca a Londra, Parigi e Firenze, si sarebbe destata profondamente diversa: quella tragica epopea avrebbe rappresentato l'imprevisto crogiuolo di concepimento di tutta l'età moderna, liberando energie inespresse, modificando costumi, ridistribuendo ricchezze. Il Vecchio Mondo si accingeva al tramonto, e il rinascimento di nuova alba sorgeva su quello Nuovo.

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La grande pandemia
 

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