L'Orlando Furioso contiene il mondo intero e tutti i mondi possibili e pensabili, perfino l'Antimondo che è la Luna, dove sale Astolfo a cercare il senno dell'antico Paladino "saggio" per eccellenza, impazzito per amore: là dove si raccolgono i desideri le illusioni i piaceri i dolori gli errori le erranze, e le lagrime e i sospiri degli amanti e le altre cose preziose, leggere, volatili che ci circondano e stanno dentro di noi, e che colmano questo poema dei lunatici... "Non per niente -ha scritto Italo Calvino- Galileo ammirò e postillò quel poeta cosmico e lunare che fu Ariosto". Davvero cosmico e lunare è il Furioso, mirabile macchina dei sogni, teatro della memoria che armonizza le discordanti varietà del cosiddetto reale, libro-universo in movimento permanente che sembra sbocciare, duplicandosi e amplificandosi in percorsi labirintici, dall'altro libro magico posseduto dal mago Atlante. In quel libro, da cui sorge un castello popolato da belle dame e prodi paladini, e nel Furioso che lo trascrive per noi, risorge, come in un teatrino di ombre, il fantasma della "gran bontà de' cavallieri antiqui", che la crudeltà feroce del presente rende ancor più impalpabile e necessario.