La scena è il Cinquecento, il centro è il Portogallo, nazione di navigatori che va «scoprendo» una terra dopo l'altra, ampliando ogni giorno la mappa del mondo conosciuto. I protagonisti sono due figli di quella nazione, diversi tra loro quanto più non si potrebbe. Damiao de Gois è filosofo, archivista di Stato, amico di Erasmo da Rotterdam, studente a Padova, viaggiatore nelle terre del Nord, primo traduttore portoghese della Bibbia. Processato dall'Inquisizione, viene ucciso in circostanze misteriose e presto dimenticato. Luis Vaz de Camoes, invece, è un vagabondo, ruffiano, spaccone e avventuriero, cacciato di porto in porto, ricercato dal Mozambico al Giappone. Dopo un naufragio compone "I Lusiadi", un poema epico nel quale il Portogallo è raffigurato come una nazione nobile e civilizzatrice in un mondo di barbari. E tuttora celebrato come il poeta nazionale portoghese. La prosa di Edward Wilson-Lee apparecchia in questo libro le biografie alternate di questi due personaggi e, tramite loro, ci racconta due visioni antitetiche di quel tempo in cui l'Europa scoprì il mondo e l'altro da sé: una pluralità di culture eterogenee che sorprendevano e meravigliavano alcuni, inorridivano e spaventavano altri. L'archivista Damiao de Gois ne è entusiasta, e - dagli etiopi ai lapponi, dai quadri di Hieronymus Bosch alla polifonia vocale - non manca di registrare minuziosamente ogni particolare, intrecciando ogni cosa con la cronaca ufficiale del regno portoghese. Il poeta Luis Vaz de Camoes la pensa diversamente: con l'Europa al centro, tutto il resto del mondo non è altro che territorio barbaro da colonizzare. De Gois e Camoes rappresentano così gli impulsi contrastanti della curiosità e della diffidenza. In "Una storia d'acqua" - libro inaspettato, composito, ma soprattutto disarmante nella sua attualità -, la loro vita diventa la storia di un momento in cui le cose sarebbero potute andare diversamente, in cui saremmo potuti diventare globali, ma non l'abbiamo fatto.