La "guerra" di cui Silvio d'Amico scrive in questo "diario" inedito fino a oggi è la Prima guerra mondiale, quella che nel sangue, nella pausa e nel lutto diede concreta unità al nostro Paese. D'Amico, che è stato scrittore e romanziere, ma anche il critico che fra gli anni Venti e gli anni Cinquanta ha rappresentato la coscienza intellettuale più avvertita del teatro italiano, visse da giovane padre l'esperienza di trincea; e quella esperienza fu per lui un'urgenza morale da non mettere per nessun motivo in discussione. Cattolico praticante, polemizzò contro il pacifismo del Papa. L'inquietitudine di questo "diario", dove appaiono indimenticabili tanti avvisi di commilitoni, è radicata in un conflitto dove un uomo non smette mai di fare i conti con se stesso e col significato della propria verità. Di qui, come scrive Giovanni Raboni nella prefazione, "un romanzo involontario" conquistato con "un equilibrio davvero e compiutamente umano, giorno dopo giorno e frase dopo frase".