Questo non è un libro di ricette. Serve a chiarire come il buon cibo dia risposte più sincere e convincenti di molti psicologi, filosofi e guru. Al tavolo consueto di una domenica in famiglia come nella bettola più unta e polverosa di Bombay, le radici del gusto si piantano solide nella nostra memoria e fanno germogliare quello che siamo. Si cucina e si mangia per sedurre, per compiacere (e compiacersi), per stimolare l'invidia di chi è negato ai fornelli ma vorrebbe essere diverso. Il cibo diventa propedeutico al sesso e surrogato del sesso stesso, finché è il sesso a essere relegato a completamento del cibo. "Mangia!" non è dunque solo la più efficace incitazione a combattere la morte, ma è il presupposto irrinunciabile per la ricerca della felicità. È l'imperativo usato dalle madri per trattenere i figli oltre il lecito nelle loro cucine e serve a conquistare uomini e donne ai piaceri di una sera o di una vita. Si è davvero adulti quando si riesce a scolare la pasta al dente e a fare una frittata per strappare il sorriso a qualcuno che si ama e si realizza che non si mangia per vivere ma si vive per mangiare. Il cibo, come la vita, va quindi goduto e conquistato. Occorre riuscirci prima che altri ci arrivino prima di te, o prima che vada a male, o che il cuoco decida di spostarlo sulla tavola di qualcun altro.